La sua forma ricorda i boccoli di Lucrezia Borgia. O, ancora, una croce. Qualcuno chiama corna le sue estremità. Un pane unico nel suo genere. Stiamo parlando delle coppie ferraresi che Riccardo Bacchelli all’inizio del suo Il mulino del Po lo ha citato. Ma non solo lui ,anche Folco Quilici che racconta: “è stato il cibo preferito e qualunque sforzo io faccia, è sempre il pane ferrarese che mi manca, che desidero, che non perdo occasione di magnificare e di gustare”.
Quella del pane ferrarese è una storia d’amore. Si parte dal nome: ciupeta (coppia in dialetto). A guardare come viene fatta il nome è subito ben spiegato. Due sono le strisce dell’impasto e si arrotolano facendo scorrere i palmi delle mani e si uniscono per la parte centrale.
La storia delle coppie ferraresi si interseca con i capelli di Lucrezia Borgia che arrivò in città come sposa del duca Alfonso d’Este. La sua forma più unica che originale, sarebbe un omaggio ai boccoli della Borgia. La leggenda narra che una sera del Carnevale del 1536 esisteva un pane ritorto, senza la forma attuale con le corna. Il pane venne presentato ad una cena imbandita in onore del duca di Ferrara, presentato da messer Giglio, con i caratteristici “crostini” con una forma simile a cornetto. Nel 1694 ci sono le parole dello storico Antonio Frizzi che definisce li pane unico per forma, lavorazione e farina nelle memorie storiche di Ferrara.
Prima del XII secolo era confezionato a mo’ di pagnotta, senza orli, bordi o ricami. Successivamente i legislatori della signoria estense dettarono severe norme per la confezione del pane, per la sua conservazione e per l’identificazione del produttore. Nel 1287 uno statuto ordinava ai panettieri come produrre questo pane. Doveva avere orletti, non doveva abbassarsi quando cuoceva, avere un determinato peso specifico, essere ben cotto, coperto con un drappo bianco appena ultimato, avere un sigillo che ne indicasse il produttore e che i forni non dovessero essere situati nelle vie più trafficate perché il pane non prendesse polvere.