Prima dell’inno di Mameli ci fu quello del regno di Sardegna. È del 1842, infatti, il testo scritto dal sacerdote Vittorio Angius e poi musicato dal maestro sassarese Giovanni Gonella ed eseguito la prima volta al teatro civico di Castello di Cagliati il 20 febbraio del 1844.
Lo spartito originale è stato ritrovato nell’archivio dell’auditorium comunale di Cagliari da Francesco Cesare Casula, direttore dell’istituto di storia dell’Europa mediterranea del CNR. Venne eseguito nel 1937 dal coro della cappella Sistina sotto la direzione di Lorenzo Perosi, per desiderio di Vittorio Emanuele III di Savoia e poi nel 1937nel corso della cerimonia per il conferimento della Rosa d’Oro alla regina Elena da parte di papa Pio XI; negli anni Novanta al Quirinale in onore al presidente Francesco Cossiga, di origini sarde e l’ultima volta nel 2001, durante i funerali di Maria Josè di Savoia, ultima regina italiana, su suo desiderio espresso prima di morire.
Angius, ex sacerdote e fervente liberale, nel testo invocava Dio per proteggere il suo sovrano, re Carlo Alberto. Il re fu così concento dell’omaggio che nel 1848 decise di fare della composizione di Gonnella e Angius l’inno ufficiale del regno di Sardegna. L’inno, una volta che il regno sabaudo entrò in guerra contro l’Austria, accompagnò i bersaglieri e le truppe regie durante le battaglie del Risorgimento. Con l’unità d’Italia nel 1861, affianca la marcia Reale e a Giovinezza nel ruolo di inno ufficiale del regno d’Italia e manterrà il ruolo fino al 1946. Con la nascita della repubblica dopo la seconda guerra mondiale viene sostituito dal “Canto degli italiani”, erroneamente conosciuto come Inno di Mameli.
S’hymnu venne eseguito al teatro di Cagliari, nella Cappella Sistina e al Quirinale. Oggi se per qualcuno rappresenta un motivo di orgoglio, per altri è come cantare la sottomissione ad un re nel quale alcuni sardi non si riconoscevano e che non era e non è, per alcuni, considerato sovrano dell’isola e dunque non è motivo di vanto.